Villa Lanfranchi
Il luogo dove Mario Lanfranchi manifestava il modo di intendere la vita, con le sue passioni e la sua vocazione di uomo di spettacolo, concepita da lui stesso come spazio per la rappresentazione.
Mario Lanfranchi, vivendola, ha scenografato nel tempo l’antica magione di famiglia: una villa di campagna dal sobrio corpo seicentesco che si annuncia attraverso un immoto giardino all’italiana abitato da statue.
Oltre la soglia
Il cancello d’ingresso, con fastosi riccioli dorati, si apre e si chiude sulle note del “Libiamo” da La Traviata di Verdi. Annesso al giardino, sulla sinistra guardando la facciata, si trova l’oratorio dedicato a Santa Maria Maddalena, utilizzato a lungo come magazzino per attrezzi agricoli. Fu restaurato e riconsacrato nel 1962 con una messa solenne, cantata dal celebre soprano Anna Moffo, al tempo moglie di Mario Lanfranchi. Oggi l’oratorio si offre come teatrino di corte vestito di una sinfonia di antichi frammenti di tessuti liturgici e da parata, una prima significativa testimonianza delle tante onnivore smanie collezionistiche che hanno segnato la vita del Maestro.
Il giardino
La villa si annuncia attraverso un immoto e ordinato giardino all’italiana con parterres abitati da statue. Nella dialettica di natura e artificio la tradizionale impeccabile simmetria del giardino all’italiana è
contraddetta dalle sinuose forme di un laghetto con ninfee singolarità del giardino all’ inglese. I contrasti ci abituano fin da subito alla filosofia del proprietario praticata nel segno del vivere e gioire, del soddisfacimento dei sensi e soprattutto dell’infrangere le regole.
Sculture e ninfee
Gli abitanti di pietra del giardino popolano il piccolo regno di natura di significati simbolici, mitici e amorosi. Dall’alto dei loro piedistalli Cerere promette abbondanza e armonia, Diana con faretra scruta l’orizzonte dei suoi territori di caccia, Venere ci mette in guardia verso le trappole di Cupido.
Dal basso filo dell’acqua le silenti quanto misteriose Ninfee evocano più di ogni altro fiore il femminile, l’esotico e il voluttuoso rimanendo emblema della donna nascosta e assente.
Il gusto prezioso della “futilità”
Due formose sculture, di Cerere e Venere, divinità pagane in pietra, sorvegliano la scala d’accesso alla casa, promettendo ricchezza e voluttà.
Gli interni, che si aprono sul grande androne centrale, annunciano colore, movimento e meraviglia. L’atmosfera è solenne e gioiosa. L’eclettico proprietario, grande cultore dell’effimero, in spregio a qualsiasi concetto di stile unitario, ha reinventato interni e atmosfere abbondando in specchi, tessuti, ferri battuti, oggetti curiosi, arredi vecchi, antichi e nuovi, opere di raffinati designer, seguendo criteri non tanto funzionali alla vita quanto alla sua rappresentazione.
“Prediligo la futilità: lavoro per eccesso mai per sottrazione” – era un principio guida del maestro, contrappuntando i suoi discorsi con una nota padronale sullo stato dell’arte: “Nella mia casa niente puo dirsi politicamente corretto”. Ritorna il simbolo della balestra che, in multiformi maniere, si trova disseminata un poco ovunque, memoria araldica del casato di Margherita Balestra, madre di Mario Lanfranchi.
Riflessi argentei nel verde d’artificio
Ed ecco l’incanto del prezioso giardino interno detto “Dei Bagliori” o “Giardino Perenne”. Il Maestro sentiva il bisogno di conoscere sempre l’autore di tutte le cose, fossero o no capolavori, e non
avendo mai avuto prova dell’esistenza di Dio, supposto autore della Natura, ha trovava lecito crearsi in casa una natura privata di alberi
finti e cascate di frutti, fiori e pampini. I bagliori sono un sofisticato gioco di luci e lustri creati da raggi di luce naturale e artificiale che, attraversando arredi di perpex e cristallo, fanno brillare una collezione di preziosi argenti sbalzati.
La cucina storica tra rami sospesi
La grande casa-teatro trova nella vecchia cucina un accogliente e confortante momento di conformità alla tradizione. L’ambiente si presenta quale ventre della casa come era nel seicento, con un grande camino annerito da fumi secolari e stivata da una raccolta di rami d’epoca: colpiscono nella loro poetica ripetizione i tanti stampi da budino. Il tempo in cucina sembra essersi fermato intorno a un incontro di seduzione con inchino tra due cioccolatiere settecentesche.
Ed è proprio la cucina a custodire il mistero del fantasma della casa, quello di una giovane donna morta per amore.
La passione di sfide, di gare, di giochi
Finzione e fantasticheria, culto per l’antico e sua negazione, delimitano l’ambito di ricerca e di gusto con cui il maestro ha interpretato gli spazi della sua casa e costruito un mondo caleidoscopico a sua immagine e somiglianza. E Mario Lanfranchi non ha dimenticato di fare un ritratto compiuto di se stesso anche attraverso le sue passioni sportive.
Ecco allora la sala del biliardo in cui, ritualmente, un giorno alla settimana, si giocavano interminabili sfide accompagnate da piacevoli conversazioni. Straordinaria la sala delle coppe in cui brillano in parata centinaia di trofei per esaltare e testimoniare le innumerevoli storiche vittorie del Maestro, che però evitava di scommettere su chi correva a suo nome nelle corse di cani e cavalli: mai sfidare troppo la sorte!
Molte le foto del campione assoluto, il levriero El Tenor, con 102 premi vinti su campi inglesi contro il precedente record di 67. Viene poi il monumento dedicato al cinema: altra passione e impegno artistico di Mario Lanfranchi, regista di film che sono entrati in più di una storia del cinema.
Artigianalità e Arte: il ferro battuto
In un’ala della casa si trova un ambiente denominato idealmente “Museo del Ferro Battuto” dove, senza compiacimenti estetici ma con intendimenti ludici, è esposta una multiforme collezione di oggetti d’uso, testimonianze della grande considerazione verso l’artigianato fabbrile del Maestro che, per il gusto di sorprendere, si è trovato a dire:
“Amo cimentarmi nelle cose che non amo: l’amore rende tutto così ovvio e scontato!”
Una scia di ricordi
Un’importante collezione di film di oltre ventimila titoli riempie pareti e scaffali
“E’ il cinema l’arte più completa” affermazione del Maestro che non permetteva repliche.
Come in una corte principesca del passato, oltre una porta che si apre lungo la scala, si trova una wunderkammer, piccolo mondo dell’inconsueto e del raro, un tempo visibile solo in base all’umore del proprietario, insieme di oggetti straordinari e curiosi. Inutile farne qui l’elenco: al visitatore il piacer di meraviglia.
Il piano superiore replica l’impianto seicentesco della casa all’ingresso. Rinnovata la messa in scena del gran teatro della vita e degli affetti con una galleria di busti in marmo, bronzo e terracotta, fra cui si riconosce, sorridente, lo stesso Lanfranchi. Più oltre sta impettito un suo antenato: quel Balestra avvocato dal volto incorniciato da favorite che sembra voler dialogare con la testa di una matrona romana del I secolo a.C. dalla particolare acconciatura a riccioli.
Si sorride all’interno della stanza dedicata alle donne, affettuoso, scherzoso omaggio a molti incontri della sua vita. Alle pareti una folla di ritratti fotografici: nonna, madre, moglie, amanti o anche semplicemente attrici che hanno debuttato o lavorato con il regista. Tanti volti famosi insieme ad altri sconosciuti, bellezze in posa che evocano insieme l’affascinante e variegato universo femminile che Lanfranchi comunque preferiva, anche solo per conversare: le donne sempre più creative e originali. E non è un caso che la fondazione a suo nome abbia come scopo principale la valorizzazione dell’universo femminile.
Il dominio del rosso: la camera da letto
La grande camera da letto è un’armoniosa stanza quadrata totalmente fasciata di un pesante tessuto damascato rosso che, con il letto a baldacchino, evoca insieme una stanza regale e atmosfere alla Rubens. Unica nota austera d’arredo è il prezioso mobile da sagrestia a credenza con alzata, mentre a parete sta il riconoscibile angelo con cartiglio, particolare dalla Madonna di Foligno di Raffaello, attenta copia ottocentesca su tela. Solo il nome del divino Raffaello vale da ombra del passato da grande intenditore d’arte e collezionista quale è stato Mario Lanfranchi che, prima del ritiro a Santa Maria, ebbe una collezione di dipinti antichi tra le più importanti del dopoguerra, quindi venduti – nel momento della separazione (e della spartizione dei beni) dalla Moffo – ai maggiori musei del mondo.
La villa per Mario Lanfranchi è stata anche laboratorio di riflessione – e azione – sul significato dell’arte, non più intesa come un tempo quale reverenziale culto dei più grandi, bisogno estremo di avvicinare il sublime, l’eterno: molteplici gli esiti, le poetiche nel gesto creativo, artigianale, nel rapporto con la materia. Comunicante con la camera da letto e il boudoir, l’ambiente della casa dove più evidente risulta l’intento registico del maestro, qui con il piacere della ricostruzione storica di una particolare atmosfera ottocentesca tra ninnoli, cipria, pizzi e ricami da salotto per signora, fors’anche alla gozzano.
Godere di bellezza in ogni luogo
L’immensa sala da bagno, degna, s’immagina, di Paolina Borghese, svela, tra freddi marmi e mobili imperiali, un lusso di lucida decadenza pompeiana, un locale articolato che pare evocare gli ambienti dipinti da Alma-Tadema.
Tra antiche pagine di grandi feste
La solenne biblioteca in penombra è luogo di silenzio e scrigno di preziosi volumi figurati a tema, soggetti preferiti le feste, le cerimonie, gli spettacoli, in generale i più affascinanti apparati effimeri. Tra le carte, preziosi autografi di grandi artisti del teatro italiano quali Eleonora Duse, Ermete Zacconi e Adelaide Ristori nonché di Giuseppe Verdi.
Di Giuseppe Verdi, questa la sua terra, tante le regie d’opera a firma di Mario Lanfranchi ovunque nel mondo, alcune di queste, realizzate per la televisione e per il cinema ancora fortunatamente visibili, la piu nota sicuramente è la Traviata. La visita alla casa restituisce ai suoi visitatori un ritratto riflesso, una biografia sublimata della complessa e sulfurea personalità di Mario Lanfranchi, emanazione del suo spirito all’insegna dello stupire e del dilettare.